In questi giorni stiamo tornando a riprenderci i nostri spazi, le nostre città, i nostri mari. Ogni gesto, anche il più stupido, ha un sapore speciale: la ritrovata libertà!

Questa nuova libertà non deve farci dimenticare però che le crisi che stiamo affrontando (sanitaria ed economica) in confronto alla crisi climatica sembrano quasi “poca roba”.

Alcune tesi, da prendere con le pinze, affermano che la diffusione dell’epidemia covid-19 è strettamente collegata alle polveri sottili e all’inquinamento. Infatti la zona più colpita è la pianura padana, uno dei territori più inquinati al mondo. Oppure basta vedere come è avvenuta la diffusione in Sicilia: nella zona orientale (più industrializzata) il numero di contagiati è quasi il doppio della zona occidentale (quasi priva di insediamenti industriali).

Per fortuna però, l’Iea (Agenzia internazionale per l’energia) stima che, complice il lockdown e di conseguenza il calo della domanda di energia a livello globale, si registrerà quest’anno “una diminuzione delle emissioni di CO2 dell’8%”, il più forte calo dalla seconda guerra mondiale.

Perché non sfruttare questo calo e continuare a spingere verso questa direzione? Il Governo Conte, almeno nelle intenzioni, vuole investire molti miliardi provenienti dal “recovery fund” (fondo europeo per la ripresa) nel cosiddetto Green New Deal. Ma come si può pensare a un piano simile, senza considerare tra le nostre “armi” la Canapa?

La canapa è una delle coltivazioni più ecologiche al mondo e si può usare in circa 25 mila modi diversi: dalla carta all’edilizia, dalla fitodepurazione alla spiritualità, dalla cosmetica alla bioplastica.

Concentriamoci su quest’ultimo utilizzo, facendo una piccola premessa.

Nel mondo la produzione di plastica supera i 250 milioni di tonnellate l’anno. Dei rifiuti prodotti solo il 3% viene riciclato, il restante è disperso nell’ambiente dall’uomo, abbandonato in terreni agricoli, fiumi e mari.

Circa 8 milioni di tonnellate finiscono negli oceani e come dimostra l’analisi condotta dalla Scripps Institution of Oceanography dell’Università di California, effettuata tramite una spedizione in Oceano Pacifico nell’agosto 2009, i soli pesci che abitano il nord dell’oceano Pacifico ingeriscono tra 12.000 e 24.000 tonnellate di plastica l’anno. La presenza della plastica nei mari ha effetti devastanti non solo per gli abitanti dei mari, ma per la sopravvivenza dell’ecosistema. Un recente rapporto del World Economic Forum (WEF) spiega che attualmente ci sono 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani, andando avanti senza modificare i modelli produttivi attuali, nel 2025 per ogni tre tonnellate di pesci vi sarà una tonnellata di plastica. Entro il 2050, invece, la plastica avrà superato in peso la fauna marina.

Come risolvere tutto questo? Oltre ad educare le persone a rispettare l’ambiente che ci circonda, si può pensare ad una radicale sostituzione della materia prima. Dalla plastica derivata dal petrolio, alla bioplastica derivata dalla canapa.

Una bioplastica del tutto naturale, bio- degradabile e bio-compostabile, con migliori caratteristiche di resistenza e leggerezza rispetto alla plastica tradizionale.

Prendendo come spunto la “Ford Hemp Body Car”, la prima automobile con la scocca realizzata in canapa nel lontano 1941, l’industria automobilistica è uno dei principali utilizzatori di questo prodotto, che permette di realizzare automobili più leggere e prestanti. Oggi sono sempre di più i marchi che scelgono di sostituire plastica e metallo nelle proprie vetture in favore della canapa, per aumentarne la resistenza e ridurne il peso. La BMW nel 2013 ha lanciato la i3, prima vettura elettrica del gruppo, con gli interni realizzati in parte in bioplastica di canapa. Sempre nel 2013 l’azienda Canada Motive Industries ha presentato l’auto Kestrel, con motore elettrico e una struttura in risina polimerica in steli di canapa. Ma anche Audi, Mercedes, Chrysler e Volkswagen che hanno utilizzato la pianta per costruire porte e sedili. Ultima è stata la Porsche, che ha inserito canapa e lino nella 718 Cayman GT4 Clubsport. Ma l’auto composta totalmente da fibre di canapa porta la firma di Renew Sport Car, azienda con sede in Florida che può essere alimentata a etanolo o biodiesel.

In Cina (attualmente uno dei più grandi produttori di bio-plastica di canapa), vengono già prodotti oggetti di uso quotidiano come ad esempio le custodie dei cellulari mentre altri ambiti applicativi spaziano dall’arredamento all’elettronica di consumo, passando per occhiali e giocattoli, dove la canapa ha il grande vantaggio, rispetto alla plastica, di essere completamente atossica.

L’Italia in questo campo, nonostante i vuoti normativi della L. 242/2016, è in grande espansione grazie al settore della stampa 3D, dove sono stati presentati i primi filamenti a base di canapa per questo tipo di stampa, come quello prodotto dai ragazzi siciliani di Kanèsis. Sempre in Italia, da una ricerca del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) è nata una resina di canapa a partire dall’olio ottenuto dai semi, che può trovare diverse applicazioni. Mentre per realizzare delle termoplastiche, quelle ad oggi più utilizzate, servirebbero dei fondi per poter fare ricerca e sperimentazione.

E quindi perché non investire? Davvero per colpa di futili pregiudizi non vogliamo lasciare un mondo migliore (o meno peggio a seconda dei punti di vista) alle prossime generazioni?

Basta un solo esempio per far capire che il “derby” tra bioplastica e plastica, lo vince la bioplastica e anche 3 a 0.

In passato le reti erano fatte in canapa, appena esaurivano il loro ciclo lavorativo le si lasciavano sul fondo dei mari. Stessa pratica è fatta adesso con le reti realizzate in nylon (derivato dal petrolio) ma le reti in canapa si decompongono in poche settimane, le reti in nylon in centinaia di anni (1 a 0); le reti in canapa nutrono la fauna marina, quelle in nylon la uccidono (2 a 0); la canapa nutre la flora marina, il nylon distrugge gli ecosistemi (3 a 0).

In conclusione, e in estrema sintesi, la CANAPA è vita la PLASTICA è morte. Moriremo schiavi dei pregiudizi o vivremo liberi in un’ambiente più pulito?